ROBESPIERRE CAPPONI – Un garibaldino riminese nelle Argonne Andrea Spicciarelli

La storia della camicia rossa è costellata di persone che hanno indossato il simbolo della lotta contro l’oppressione in specifici momenti della loro vita, e di chi invece ne ha fatto il segno della propria intera esistenza. È questo il caso del garibaldino – riminese d’adozione – Robespierre Capponi.
Figlio di Giuseppe Maestri e della reatina Vittoria Capponi, dalla quale ereditò il cognome, prese il nome del famosissimo rivoluzionario giacobino. Nato a Roma il 10 marzo 1891, fin dall’adolescenza si distinse per la sua inclinazione verso i precetti mazziniani che, come molti suoi coetanei, trasse dalla frequentazione di ricreatori laici. All’età di diciotto anni, ormai definiti i propri principî politici, Capponi si iscrisse alla Federazione Nazionale Giovanile Repubblicana, fondata a Terni appena cinque anni prima.
Erano quelli – i primi anni Dieci del Novecento – anni cruciali per l’Italia e l’Europa: nel giro di soli due anni, difatti, Giolitti avrebbe dichiarato guerra all’Impero Ottomano per il possesso della Libia, mentre parallelamente il quartogenito dell’Eroe dei Due Mondi, Ricciotti Garibaldi senior, si rendeva protagonista di due tentativi volontaristici in favore della comunità albanese prima (1911) e del Regno di Grecia poi (1912)1. Lo sparo di Sarajevo, infine, avrebbe determinato la fine di quest’«Età degli Imperi»2, aprendo le porte a quella che da più parti è stata definita una vera e propria nuova «guerra dei Trent’anni»3. Di fronte alla scelta neutralista del governo italiano dopo i fatti del giugno-luglio 1914, il Partito Repubblicano Italiano (PRI) manifestò il proprio sostegno all’Intesa, ed in particolar modo alla Francia insidiata dall’esercito tedesco. Mentre un comitato segreto del PRI muoveva i primi passi verso la creazione di un reparto di volontari – una missione portata avanti anche dalla famiglia Garibaldi4 – Capponi espatriò clandestinamente in Francia, giungendo a Parigi il 28 agosto. Arruolatosi nella Legione Straniera, egli sarebbe poi stato trasferito nel costituendo reparto in camicia rossa. Questa unità, guidata dal tenente colonnello Giuseppe Garibaldi detto “Peppino” (il maggiore tra i figli maschi di Ricciotti senior), sarebbe stata infine assegnata alla difesa della foresta delle Argonne, prendendo parte a tre sanguinosi combattimenti fra il dicembre 1914 ed il gennaio ‘15.
Quando già le prime classi di leva stavano venendo richiamate in Italia, in vista dell’imminente entrata in guerra del Regno sabaudo contro gli Imperi Centrali – ed essendo chiaro ormai anche in Francia che il reparto garibaldino non sarebbe più stato utilizzato in prima linea – Capponi si dimise dal corpo: egli cominciò quindi un lungo pellegrinaggio che lo vide rientrare a Roma proprio in vista del 24 maggio 1915, giorno della dichiarazione di guerra. Richiamato assieme nel giugno, Capponi – avendo già esperito il proprio battesimo del fuoco nelle Argonne – manifestò nuovamente il suo spirito garibaldino, offrendosi volontario per recarsi subito al fronte: venne così inquadrato nel 52° Reggimento di Fanteria (RF) della Brigata “Alpi” (discendente dei Cacciatori delle Alpi del 1859), alla cui guida era stato posto lo stesso Peppino Garibaldi. Nel 1918 Capponi – divenuto nel frattempo osservatore di trincea – ottenne il reinserimento nei ranghi del 52° RF quando quest’unità venne distaccata in Francia.
Il suo intrinseco senso del dovere d’ispirazione mazziniana lo portò a rifiutarsi di fornire le proprie generalità al maggiore Sante Garibaldi (fratello minore di Peppino) quando questi – dopo un’azione condotta dallo stesso Capponi – volle proporlo per un encomio. Porta-ordini durante la Seconda battaglia della Marna (14-16 luglio), rimase esposto ai gas tossici utilizzati dall’esercito tedesco: per tutta la vita avrebbe sofferto dei postumi di questo attacco. Nonostante ciò, rifiutata la licenza di convalescenza, fece rientro al proprio reparto giusto in tempo per partecipare alle ultime offensive alleate, condotte tra l’Aisne e lo Chemin-des-Dames. Rimasto con la Brigata “Alpi” e le altre truppe d’occupazione sulla sponda occidentale del Reno fino al settembre 1919, fece rientro in Italia, a Rimini, dove frequentò la scuola per barbieri, mestiere che avrebbe praticato per il resto della sua vita.
Dopo l’avvento del regime mussoliniano, Capponi fu uno dei primi aderenti al movimento antifascista “Italia Libera” e per tutto il Ventennio si mostrò in camicia rossa in occasione delle celebrazioni legate alla Grande guerra. All’indomani del secondo conflitto mondiale, Capponi aderì di nuovo al PRI e quindi all’ANVRG, partecipando alla costituzione del Gruppo garibaldino di Rimini, che guidò dal 1951 fino alla sua morte, coadiuvato dal suo grande amico – nonché commilitone delle Argonne – Umberto Danti.
Nominato Cavaliere della Repubblica italiana nel 1960, la sua attività pubblica si esternò sempre a favore della memoria laica del Risorgimento. In particolare, intensa fu la sua azione affinché il Comune di Rimini ripristinasse le lapidi in memoria del discorso tenuto da Giuseppe Garibaldi il 17 settembre 1859 in Palazzo Gioia, a ricordo di Giuseppe Mazzini ed in onore di Giuseppe Venerucci, il patriota riminese fucilato assieme ai fratelli Bandiera nel1844.
Capponi si spense a Rimini, il 24 gennaio 1967, all’età di 76 anni. Fu tumulato nel Cimitero Monumentale cittadino, in una tomba decorata con il fascio repubblicano attorniato dal motto “Dio e Popolo”. Il suo epitaffio riassume un’intera vita vissuta all’insegno del binomio “pensiero e azione”: «Volontario garibaldino delle Argonne / diede tutto sé stesso alla famiglia / all’umanità agli ideali della patria».